"Nel titolo dato alla versione italiana di questo libro pare evidente che il traduttore si è ispirato alla nota poesia di Pessoa. Come il poeta, forse anche il dislessico è fingitore: deve nascondersi, portare una maschera per proteggere se stesso e gli altri, come dice a un certo punto David, il protagonista. E’ costretto a dissimulare tante cose, e in primo luogo “a fingere che non è dolore il dolore che davvero sente”…
Un mondo affascinante, quello della dislessia, cui appartengono alcuni dei massimi geni creativi ma anche tante persone comuni.
Parlando di dislessia viene da pensare ai bambini di cui finalmente si occupa la legge 170 del 2010, trascurando il fatto che ci sono altrettanti adulti, mai diagnosticati e mai informati sui motivi per cui ai tempi della scuola avevano difficoltà così strane, a dispetto della loro vivace intelligenza. E questo soprattutto in Italia, vista la peculiare lentezza con cui in questo paese si è giunti ad affrontare il problema.
Adulti che si nascondono, temendo a ragione di non essere compresi e di essere soggetti a perfidi pregiudizi. E che magari, essendo spesso geniali e portati a raggiungere il successo, solo dopo averlo ottenuto osano riaffrontare le terribili cicatrici del periodo scolare per chiedersi: “Ma cosa c’era in me che non andava? Perché per me la scuola è stata un tale inferno?” E così giungono alla diagnosi. Come è accaduto, tra gli altri, a Steven Spielberg, che ha chiarito di essere dislessico solo cinque anni fa e lo ha dichiarato di recente.
In Italia attualmente pare ci sia un solo centro pubblico dove un adulto o un giovane adulto può essere diagnosticato, tramite appositi test.
Ma anche vicino a noi stanno iniziando a sorgere centri dove vengono adeguatamente supportati gli studenti universitari. Giovani talenti da coltivare, se riescono a superare l’impatto tremendo con l’istituzione scolastica, ancora, globalmente, alquanto dislessica nei confronti della la dislessia. Molti, forse, non ci riescono.
L’autore di questo romanzo breve, Alex Nile, ci risulta essere il nome d’arte di un accademico inglese, lui stesso dislessico, che ha scritto e curato diversi trattati sul tema, non da ultimo “Dyslexia and creativity”.
Intendiamoci: la creatività dislessica non va intesa come qualcosa di estroso, stravagante o necessariamente artistico. È piuttosto, secondo la definizione più corretta e concreta del termine ‘creatività’, la capacità di trovare nuove soluzioni, di risolvere quei problemi complessi che costituiscono una sfida al pensiero comune. Da cosa deriva? Ci sono varie ipotesi: pensiero laterale rispetto al pensiero verticale, possibilità di sfuggire alla “euristica dell’ancoraggio” proprio grazie al deficit negli automatismi e all’incapacità costituzionale di conformarsi, e così via. Ma l’autore ci ricorda anche il concetto di “crescita post-traumatica”: il trauma (o meglio, in questo caso, i numerosi traumi subiti sin dal primo contatto con la scuola) oltre ad effetti distruttivi reca anche effetti costruttivi, inducendo una precoce maturità e una spinta a trovare strategie di sopravvivenza e di ricostruzione continua di una immagine positiva di sé e del mondo quotidianamente minacciata.
Il libro è ambientato in Inghilterra, dove l’interesse per la dislessia non è certo recente come da noi. Nonostante ciò il protagonista ignora di essere dislessico, ma è ben consapevole che, per quanto sia riuscito a laurearsi, non sa fare cose che per tutti sono banali, ad esempio scrivere senza fare errori grossolani… Perciò si sente costretto a mantenere un low profile nel lavoro e nella vita per non essere giudicato superficialmente e deriso come gli capitava a scuola. La storia è a lieto fine: David scoprirà la ragione dei suoi paradossi, deciderà di osare una disclosure coraggiosa e troverà persone che gli consentiranno di sviluppare le sue capacità creative, avanzando di carriera e portando benefici all’azienda in cui lavora.
La storia di David è scritta in modo apparentemente semplice, ma chi ha letto i libri dell’esperto che si nasconde dietro il nome di Alex Nile si accorge con stupore che contiene tutto ciò che occorre sapere riguardo alle problematiche psicologiche, relazionali e sociali che un dislessico adulto deve affrontare. Il tutto, però, è qui narrato con sobria leggerezza. Non dimentichiamo che il libro è stato scritto da un dislessico, che, in quanto tale, non ama gli sprechi di parole, prediligendo ‘la parola incarnata’.
Viene quasi da chiedersi se tanto interesse recente per la dislessia non scaturisca dalla nausea per gli abusi di parole (declamate o stampate) che abbiamo subito per anni e che ancora stiamo subendo, e dall’urgenza di trovare un nuovo stile, di vita e di scrittura, che restituisca alla parola il suo schietto ruolo comunicativo e che indirizzi il pensiero a trovare soluzioni reali, nuove ed efficaci."
Recensione di Valeria Toschi
Il traduttore, Valerio Innocenti, è insegnante di lingue straniere presso l’Istituto G. Marconi di Viareggio. Ha realizzato la versione italiana di questo libro in occasione del convegno “Una volta non c’era…” Storie vere di dislessia, che si è tenuto a Montecatini il 27 ottobre 2012.
La versione italiana, come quella originale, sono disponibili come kindle su Amazon.